sabato 21 gennaio 2012

Óðinn

Óðinn (italiano Odino, anglosassone Woden, tedesco Wotan, longobardo Gòdan), signore del pantheon norreno\germanico, dio della sapienza, della magia, del vento, della guerra e della poesia.

Óðinn dimora ad Ásgarðr, nel palazzo di Válaskjálf innalzato da lui stesso, dove seduto sul trono Hliðskjálf, osserva ciò che accade in ciascuno dei Nove mondi. In battaglia brandisce Gungnir, la sua lancia, e cavalca Slepnir, il suo destriero ad otto zampe, nato da una portentosa unione tra il dio Loki (momentaneamente trsformato in giumenta) e il cavallo Svaðilfœri.

Nella tradizione scandinava è detto figlio di Borr e della gigantessa Bestla, fratello di Víli e Vé, marito di Frigg, padre della maggior parte degli dei, in particolare di Þórr, Baldr, Vídarr, Hermóðr e Váli. Spesso viene identificato con l’epiteto di Allföðr (“padre di tutto” secondo alcune versioni, “padre degli uomini” secondo altre).

Come dio guerriero raduna i morti in battaglia nel Valhöll, gli Einherjar, presiedendo al loro banchetto. Infine Óðinn guidarà gli dei e gli uomini contro le forze del caos nell’ultima battaglia, quando giungerà il Ragnarøkkr, la distruzione e la rigenerazione del mondo, nel quale il dio sarà ucciso, dal terribile lupo Fenrir, per essere immediatamente vendicato dal figlio, Víðarr, che ne lacererà le fauci dopo avergli piantato un piede nella gola.

Un importante tempio di Óðinn sorgeva a Uppsala, in Svezia.


La saggezza di Óðinn
Essendo il più antico degli dei e il creatore del mondo e di tutte le cose, Óðinn è il signore della sapienza, conoscitore delle cose antiche e profonde. Egli ha imparato per primo tutte le arti in seguito gli uomini le hanno apprese da lui. Tra i molti epiteti di Óðinn, parecchi si riferiscono alla sua immensa sapienza: Fjölnir (sapiente), Fjölsviðr (assai sapiente), Sanngetall (colui che intuisce il vero), Saðr (colui che dice il vero), Forni (sempre risonante).

La sapienza di Óðinn è conoscenza, magia e poesia al tempo stesso. Egli non solo conosce i misteri dei Nove mondi e l’ordine delle loro stirpi, ma anche il destino degli uomini e il fato dello stesso universo.

Óðinn ama disputare con creature antiche e sapienti. Sotto le mentite spoglie di Gagnráðr (colui che conosce la via) si giocò la vita sfidando a una gara di sapienza il possente gigante Vafþrúðnir, la cui erudizione era rinomata in tutti i Nove mondi, e dopo una serie di domande sul passato, il presente e il futuro, a cui il gigante rispose prontamente, Gagnráðr domandò allora che cosa avesse sussurrato il dio Óðinn a Baldr prima che questi fosse posto sulla pira. Vafþrúðnir a questo punto lo riconobbe, ma aveva ormai perso la gara.

Un’altra volta, dicendo di chiamarsi Gestumblindi (ospite cieco), il dio sfidò re Heiðrekr ad una gara di indovinelli. Dopo una serie di questiti a cui il re rispose senza difficoltà, Óðinn gli pose la medesima domanda che già aveva posto a Vafþrúðnir. A quella domanda il re cercò di ucciderlo, ma il dio gli sfuggì trasformandosi in falco.


Óðinn tiene accanto a sé la testa recisa di Mímir, fonte inesauribile di conoscenza che gli rivela molte notizie dagli altri mondi. In un’altra versione dello stesso motivo mitologico Óðinn si cava un occhio e lo offre in pegno a Mímir per attingere un sorso  di acqua della sapienza da Mímisbrunnr, la fonte della saggezza che il gigante custodisce. L’occhio di Óðinn rimane, quindi, nella fontana. Da questa mutilazione deriva l'epiteto di Báleygr (occhio fiammeggiante).

Dalla Völuspá:

 “Ein sat hon úti,                                                        “Sola sedeva di fuori
þás enn aldni kom                                                      quando il vecchio giunse
yggiungr ása                                                              Yggiungr degli Æsir
ok í augu leit.                                                             e la fissò negli occhi.
«Hvers fregnið mik?                                                   «Che cosa mi chiedete?
hví freistið mín?                                                          Perché mi mettete alla prova?
Alt veitk, Óðinn,                                                         Tutto io so, Óðinn,
hvar auga falt                                                            dove nascondesti l’occhio
í enum mæra                                                              nella famosa
Mímis brunni.»                                                            Mímisbrunnr!»
drekkr miöð Mímir                                                       Mímir beve idromele
morgin hverian                                                           ogni mattino
af veði Valföðrs.                                                        dal pegno pagato da Valföðr
Vituð ég enn eða hvat?”                                            Che altro tu sai?”

- Völuspá, la profezia della Veggente [Edda poetica], 28

Le rune
Óðinn conosce i segreti delle rune, le lettere che, incise sul legno, sulla pietra, sulle lame delle spade, sulla lingua dei poeti, sugli zoccoli dei cavalli, sono l’origine stessa di ogni conoscenza e di ogni potere. Óðinn ottenne questa sapienza diventando il primo Erilaz, ovvero il primo “maestro runico”, immolando sé stesso in sacrificio a sé stesso. Infatti per apprendere l’arte delle rune e della divinazione rimase appeso ad Yggdrasill per nove giorni e nove notti.

Dall’Hávamál:

 “Veit ek, at ek hekk                                                  “Lo so io, fui appeso
vindgameiði á                                                            al tronco sferzato dal vento
nætr allar níu,                                                           per nove intere notti,
geiri undaðr                                                               ferito dalla lancia
ok gefinn Óðni,                                                          e consegnato a Óðinn,
sialfur sialfum mér,                                                   io stesso a me stesso,
á þeim meiði                                                              su quell’albero
er manngi veit                                                           che nessuno sa
hvers af rótum renn.”                                                dove dalle radici s’innalzi”

- Hávamál, il discorso di Hár [Edda poetica], 139

E ancora dall'Hávamál:

“Rúnar munt þú finna                                                “Rune tu troverai
ok ráðna stafi,                                                            lettere chiare,
miök stóra stafi,                                                         lettere grandi,
miök stinna stafi,                                                       lettere possenti,
er fáði fimbulþulr                                                       che dipinse il terribile vate,
ok gerðu ginnregin                                                     che crearono i supremi numi,
ok reist Hroftr rögna.”                                                che incise Hroptr degli dei.”

- Hávamál, il discorso di Hár [Edda poetica], 142

Óðinn, dio della guerra
Fra le tante figure di divinità guerriere della mitologia norrena\germanica, Óðinn si distingue per essere Sigrföðr (padre della vittoria), perché decide nelle battaglie a chi debba andare la vittoria, e Valföðr (padre dei caduti), perché sono suoi figli adottivi tutti coloro che cadono in battaglia. Con questi due nomi egli distribuisce in battaglia la vittoria e la morte: entrambi doni graditi ai guerrieri.
Óðinn è anche il guerriero per eccellenza, che combatte con le sue arti magiche. Molti dei suoi epiteti ricordano questo suo aspetto bellicoso, egli è detto Göllnir (colui che è nel frastuono della battaglia), Atriðr (colui che avanza cavalcando) e Fráríðr (colui che cavalca verso la battaglia).

L’infallibile lancia che egli regge in pugno, che gli è stata donata dai nani, si chiama Gungnir, una lancia che una volta scagliata torna in mano al suo padrone e trasforma in formiche chiunque colpisca. Con questa lancia egli iniziò la prima guerra nel mondo, il conflitto tra Æsir e Vanir. Da allora, alla vigilia delle battaglie la rivolge verso la schiera alla quale ha decretato la sconfitta. Egli perchiò è detto Geirlöðnir (colui che invita con la lancia), Bifliði (colui che scuote la lancia). Óðinn possiede anche un elmo d’oro, onde per cui è detto Hjálmberi (colui che porta l’elmo). 


Óðinn appare tremendo ai nemici, poiché  è esperto nell’arte della trasformazione. Ha in guerra il potere di accecare, assordare o atterrire i nemici, di scatenare il terrore nelle schiere, di rendere le armi inette a ferire come semplici ramoscelli. Nessuno può scagliare così forte una lancia nella mischia senza che lui riesca a fermarla con un solo sguardo. Le sue capacità guerriere hanno una base magica, in quanto dipendono dalla sua conoscenza delle rune e degli incantesimi. Il dio stesso lo ammette nell’Hávamál:

“Það kann ek þriðia:                                                  “Questo conosco per terzo;
ef mér verðr þörf mikil                                              se ho grande urgenza
hafts við mína heiftmögu,                                         di incatenare i miei nemici.
eggiar ek deyfi                                                           io spunto le lame
minna andskota,                                                        dei miei avversari:
bítat þeim vápn né velir.”                                          non mordono più armi né bastoni.”

- Hávamál, il discorso di Hár [Edda poetica], 148

Lui stesso sceglie chi proteggere nella mischia, infatti nell’Ynglinga saga (ispirata dall’Ynglingatal) si dice che Óðinn era solito imporre le mani sul capo dando la bjának (benedizione), e i suoi devoti guerrieri erano certi di ottenere la vittoria. Mediante questa pratica venivano infusi di energie divine, che garantivano l’invulnerabilità e la certezza di uscire sano e salvo dalla battaglia.

“Þat kann ek it ellifta:                                               “Questo conosco per undicesimo:
ef ek skal til orrustu                                                  se io devo in battaglia
leiða langvini,                                                           condurre vecchi amici,
und randir ek gel,                                                      sotto gli scudi io canto
en þeir með ríki fara                                                 ed essi vanno vittoriosi
heilir hildar til,                                                          salvi alla mischia,
heilir hildi frá,                                                           salvi dalla mischia:
koma þeir heilir hvaðan.”                                         dovunque salvi giungono.”

- Hávamál, il discorso di Hár [Edda poetica], 156

Quelli a lui devoti confidano in lui e lo invocano come Sigrföðr (padre della vittoria), Sigrhöfunðr (principe della vittoria), Sigðir (servo della vittoria), Sigþrór (cospicuo nella vittoria), Sigtryggr (fedele nella vittoria) e Sigmundr (protettore della vittoria). La tradizione riporta molti esempi di guerrieri che innalzarono sacrifici e invocazioni a Óðinn per otterene il successo in battaglia.

Ma per gli eletti del dio ottenere la vittoria o morire gloriosamente sono due cose ugualmente desiderabili. I caduti sono a tutti gli effetti i “prescelti” dal dio. Óðinn li accoglie come suoi figli adottivi nel Valhöll, dove essi parteciperanno al banchetto da lui presieduto. Óðinn è dunque Valföðr (padre dei caduti) e Valþögnir (colui che accoglie i caduti). Ad una veggente risvegliata da Helheimr, Óðinn si presenta come Vagtamr (viandante) figlio di Valtamr (aduso alla scelta dei caduti), ed anche questo  in verità è un suo appellativo.

E’ appunto in questo modo, stabilendo a chi tocca la morte sui campi di battaglia del mondo, che il dio sceglie i suoi campioni, i quali formeranno la schiera degli Einherjar, i guerreri destinati a formare le sue schiere e lottare al suo fianco nel giorno del Ragnarøkkr. Essi formano l’esercito di spiriti guidato dallo stesso Óðinn, che in questa guisa è detto Herjaföðr (padre delle schiere), Herjan (capo delle schiere) e  Herteitr (felice nelle schiere).

Legati al culto di Óðinn erano le congregazioni dei guerrieri estatici, gli Úlfheðnar (pelle di lupo) ed i Berserkir (camicia d’orso), i quali, prima della battaglia, entravano in uno stato di furia, detto berserksgangr, nel quale cominciavano a ringhiare, sbavare ed a mordere i propri scudi. Successivamente si gettavano in battaglia urlando, mulinando spade e scuri, facendo il vuoto tutto intorno, insensibili al dolore e alla fatica, per poi crollare esausti.

Óðinn era anche conosciuto come “signore degli impiccati”. Fonti primarie affermano che ogni nove anni al tempio di Uppsala si svolgeva un solenne Blót nel quale venivano sacrificati al dio i rei, condannati a morte ed esemplari maschi di animali. Il sacrificio avveniva appendendo le vittime agli alberi, rievocando il sacrificio che il dio compì per ottenere le rune.

Oltre a questa usanza di condannare a morte i rei, sacrificandoli, raramente avvenivano sacrifici umani. Oltre all’impiccagione metodi di sacrificio a Óðinn erano l’impalamento, il rogo e una incosueta pratica chiamata “aquila di sangue” descritta nell’Orkeyinga saga, che consisteva nella separazione delle costole dalla colonna vertebrale.

Nella leggenza popolare Óðinn  a cavallo di Sleipnir è alla testa degli Einherjar durante la caccia selvaggia, nei dodici giorni successivi a Yule, andando  a caccia di mostri e giganti.


Óðinn, dio della poesia
Il furore spirituale, di cui Óðinn è dio, non si manifesta solo nella battaglia, ma anche nelle composizioni letterarie. Per questo Óðinn è anche dio dei poeti.

Si narra che parlasse sempre in versi e anche che fu lui a dare inizo nel nord dell’Europa all’arte della poesia, che è potere soprannaturale non lontano dalla stessa magia, perché tra le qualità di poeta, vate, profeta e mago non vi è sostanziale differenza.

Óðinn rubò al gigante Suttungr, entrando in buco scavato dal fratello di Suttungr, Baugi, superato il buco giaque tre notti con la figlia di Suttungr, Gunnlöð, dalla quale riceve il permesso di bere tre sorsi (che gli erano stati promessi anche da Baugi in cambio di sostituirsi per tutta l’estate a lavorare nel suo campo dopo aver fatto uccidere l'uno con l’altro i nove lavoratori che vi erano precedentemente con un inganno). Ma anziché berne soltanto tre sorsi, lo bevve tutto e volò via fino ad Ásgarðr trasformato in aquila.

L’idromele una volta bevuto donava conoscenza e l’arte poetica. Si dice che Óðinn, versò una parte dell’idromele su Miðgarðr, donando agli essere umani il dono del canto.

Óðinn, dio della magia
In quanto patrono della magia, Óðinn pratica spesso il Seiðr, una stregoria che permetteva di prevedere il futuro, ma anche di dispensare morte, sventura e malattia.

Come tutte le stregonerie, solitamente i rituali sono di appannaggio femminile, è per questo che Loki, nella Lokasenna deride Óðinn per la pratica della stregoneria.

Óðinn, il dio viandante
Con un cappellaccio in testa e un mantello sulle spalle, a volte reggendosi alla sua lancia come se fosse un bastone, Óðinn viene dipinto come un dio viandante, che cammina per le vie del mondo. Onde per cui egli è detto anche Vegtamr (viandante), Gagnráðr (colui che conosce la via) e Kjallar (colui che va sulla slitta).

Egli si muove lungo la strada come un pellegrino, dissimulando il suo aspetto e la sua reale natura. Perciò egli è detto Grimr (mascherato), ma anche Höttr (incappucciato), Síðhöttr (ben incappucciato), Löndungr (colui che porta il mantello ispido) e Hrani (trasandato). Appare in genere come un uomo maturo, o anziano, con una lunga barba, per cui è detto Hárbarðr (barba grigia), Langbarðr (barba lunga), Síðgrani (ben crinito), Síðskeggr (ben barbato) e Hengikeptr (gota cadente).


Óðinn pertanto è dio dei viaggiatori e di tutti coloro che si muovono lungo le strade del mondo. Nel corso dei suoi viaggi capita che egli chieda ospitalità per la notte tanto nelle regge dei sovrani quanto nelle case delle persone umili. Egli è anche detto Gestr (ospite) e infatti in passato ogni straniero veniva accolto in casa in quanto poteva celarsi lo stesso dio sotto mentite spoglie.

Sotto il nome di Grímnir, Óðinn giunse come ospite presso il re Geirrøðr, il quale sospettoso, lo torturò crudelmente tenendolo incatenato tra due fuochi divampanti. Dopo avergli rivelato i segreti del mondo divino e parte dei suoi numerosi epiteti, Óðinn gli rivelò la sua vera identità, re Geirrøðr corse a liberarlo ma inciampò sulla sua spada e venne trafitto.

Così egli assunse il nome di Jálkr (castrato) quando fu ospiste presso le genti di Ásmundr, Sviðurr/Sviðrir (signore della lancia) presso il gigante Søkkmímir, Bölverkr (colui che agisce male) presso il gigante Suttungr, Göllnir (colui che è nel frastuono della battaglia) e Hárbarðr (barba grigia) quando si presentò in incognito al cospetto degli stessi dei.

Le apparizioni di Óðinn sono un tema caro alla tradizione nordica. Nella Saga di Hákon Guttormr e di Ingi è riferito che, quattro giorni prima della battaglia di Lena (1208), un fabbro ricevette la visita del dio che voleva far ferrare il suo cavallo. Rendendosi conto di avere a che fare con un personaggio soprannaturale, il fabbro gli rivolse molte domande ma il dio, comprendendo di essere stato scoperto, saltò in sella e il suo cavallo balzò oltre il recinto altissimo. Nella Saga di Bárðr si racconta che egli apparve all’equipaggio di una nave, dall’aspetto di un uomo guercio, con un mantellaccio azzurro, il quale disse di chiamarsi Rauðgrani (barba rossa). Costui cominciò ad insegnare agli uomini il credo etenico e li esortò a fare sacrifici agli dei. Alla fine un prete cristiano si infuriò e lo percosse con un crocifisso, l’uomo cadde fuori bordo e non tornò più.

Si narra che, col nome di Gestr (ospite), Óðinn abbia visitato persino Óláfr Tryggvason, re di Norvegia (995-1000). Il dio si presentò nelle spoglie di un vecchio guercio e incappucciato, il quale, dotato di grande saggezza, poteva raccontare storie di tutti i paesi del mondo. Ebbe un lungo colloquio col re, poi, al momento di coricarsi, se ne andò. Il mattino dopo, il sovrano lo fece cercare, ma il vecchio era scomparso. Tuttavia aveva lasciato una gran quantità di carne per il banchetto del re. Ma re Óláfr, che era cristiano, vietò di mangiare quella carne, perché aveva riconosciuto Óðinn sotto le spoglie dell’ospite misterioso, con il medesimo nome di Gestr, Óðinn comparve ancora, alcuni anni dopo, al cospetto di un successore di Óláfr Tryggvason, re Óláfr II Haraldsson detto “Il santo” e “Il fuorilegge” (1015-1028). Egli giunse alla corte del re sotto l’aspetto di un uomo borioso e scortese. Indossava un cappello a larghe falde che gli nascondeva il volto, ed eveva una lunga barba. Nel corso del colloquio, Gestr descrisse ad Óláfr la figura di un sovrano dei tempi passati, il quale era così sapiente che il parlare in poesia era altrettanto facile che per gli altri uomini il normale parlare, costui otteneva la vittoria in ogni battaglia e poteva concedere agli altri la vittoria così come a sé stesso, a patto che venisse invocato. Da queste parole Óláfr riconobbe Óðinn, e lo cacciò.

Genealogia di Óðinn
Óðinn figlio di Borr figlio di Búri e della gigantessa Bestla figlia di Bölþorn.
Fratello di Víli e Vé.
Dalla sua unione con Jörð, antica dea della terra, ebbe come figlio Þórr.
Dalla sua unione con Frigg, sua sposa, ebbe come figli BaldrHöðr e Hermóðr.
Dalla sua unione con Gríðr ebbe come figlio Víðarr.
Dalla sua unione con Rindr ebbe come figlio Váli.
Dalla sua unione con la gigantessa Gunnlöð, con la quale giacque per tre notti, ebbe come figlio Bragi.

Inoltre Heimdallr viene attribuito come suo figlio, anche se sono ignoti le condizioni in cui egli lo generò.

Gli animali di Óðinn
Óðinn ha al suo seguito diversi animali. Innanzitutto i due corvi Huginn e Muninn (pesiero e memoria) che spedisce ogni giorno in giro per Miðgarðr perché, quando essi ritornano al tramonto, gli sussurrino ciò che hanni visto e sentito; e quindi i due lupi, Geri e Freki (avido e divoratore), ai quali getta il suo cibo nelle cene del Valhöll visto che egli si nutre esclusivamente di idromele, vino e birra.

Così si racconta nel poema eddico del Grímnismál

“Gera ok Freka                                                           “Geri e Freki
seðr gunntamiðr,                                                       nutre, avvezzo alla guerra,
hróðigr Heriaföðr;                                                      Heriaföðr glorioso.
en við vín eitt                                                             Ma soltanto col vino
vápngöfugr                                                                 fiero nell’armatura,
Óðinn æ lifir.”                                                            Óðinn vive per sempre.”

- Grímnismál, il discorso di Grímnir [Edda poetica], 29

Il legame di Óðinn con i corvi può riferirsi al suo essere sia una divinità della guerra, sia della morte: i corvi sono uccelli che, solitamente, banchettano coi cadaveri dei campi di battaglia. Lo stesso dicasi dei lupi. Nelle kenningar, le metafore poetiche tipiche della poesia skaldica, la battaglia è sovente chiamata “festino dei corvi” o “festino dei lupi”.


Fonti: Edda poetica, Edda in prosa, www.bifrost.it


Nessun commento:

Posta un commento